Il lavoro più (in)adatto a una donna

«Tra precariato e colleghi molesti, episodi tragicomici e scolaresche indisciplinate, Chiara Santoianni osserva con realistica rassegnazione un mondo scolastico bistrattato e sottovalutato, le cui potenzialità sono infinite eppure inespresse, difficile da amare perché in fondo è una miniatura della società che verrà, ed è sempre più evidente che non sarà un bel posto.» | Rossella Martielli, SoloLibri.net

Ho scritto questo libro perché, da narratrice, non potevo resistere a mettere nero su bianco la bizzarra, paradossale, incredibile, e spesso divertente, quotidianità del mio lavoro di insegnante. I lettori si sono spesso chiesti: sarà vero? “Ogni riferimento a fatti accaduti o a persone esistenti è puramente casuale”…

Chiara Santoianni - Il lavoro più (in)adatto a  una donna

Settembre. Il suono della campanella, le voci degli studenti che si rincontrano dopo alcuni mesi. In un’aula disadorna come tutte le aule scolastiche, una professoressa al primo incarico si appresta a vivere l’inizio della sua carriera, nonostante la decisione maturata negli anni della fanciullezza: da grande farò qualsiasi cosa, ma non l’insegnante! Con una scrittura agile, ironica, graffiante, ma coinvolgente perché mai banale, capace di fondere il racconto del passato studentesco con la cronaca divertita ma preoccupata del presente, Chiara Santoianni ritrae alcuni aspetti del variegato mondo della scuola italiana. Liberandosi di ogni preconcetto ideologico, racconta la scuola e il suo anacronistico universo da punti di vista inusuali, confrontandosi con i suoi problemi: l’insensata burocrazia del sistema scolastico, l’eterno precariato, l’incapacità di valorizzare le eccellenze e distinguere il merito dal demerito, la smarrita identità sociale di docenti dall’autorevolezza sempre più evanescente agli occhi di studenti non più affascinati dalla cultura. Cosa resta della professione docente e del mondo che le ruota intorno? L’esperienza biografica dell’autrice viene offerta al lettore come exemplum di una realtà spesso assurda e incomprensibile, dall’interno così come dall’esterno, un mondo che giorno per giorno rischia di smarrire la sua priorità: sostenere la formazione delle coscienze.

«Mi ha divertito immensamente.» | Elena Depaoli, Fantastiche avventure

«Questo libro mi ha letteralmente catturata. L’ho letto in poche ore, anche perché la scrittura è curata e pulita, e mi ha fatto a tratti sorridere e a tratti riflettere. Sorridere, perché l’autrice è molto abile nel trasfigurare di ironia quei mille piccoli eventi che in una scuola sono all’ordine del giorno, che tutti abbiamo vissuto; riflettere, perché, al di là dei luoghi comuni e della burocrazia, la scuola è un macrocosmo che pulsa di vita, la vita della società che verrà in futuro, e sprecarla è il più grande delitto che un Paese possa commettere. È senza dubbio un libro che consiglio, anche ai non ‘addetti ai lavori’!» | Sofia Aleteia, Il blog dei libri

«Lo stereotipo dell’insegnante che lavora poche ore al giorno, che dispone di mesi di ferie e che in fondo fa un mestiere che è una sorta di prolungamento della sua attività di madre è duro a morire, ma la Santoianni riesce in questo libro a spiegare, con ironia e precisione, quanto siano cambiate le cose negli ultimi vent’anni, e quanto la scuola di oggi sia diversa – per studenti e insegnanti – rispetto a quella di vent’anni fa.» | Giusy Muzzopappa, Stile.it

«L’autrice spazza via ogni stereotipo chiarendo una volta per tutte, senza aver
bisogno di dichiararlo apertamente, che non esistono lavori “adatti” alle donne
piuttosto che agli uomini, e che l’insegnamento non è un luogo comune, bensì una
missione.» | Rossella Martielli, SoloLibri

«Chiara Santoianni abbandona, solo in apparenza, il genere ‘leggero’ della chick lit, per affrontare l’argomento serio dell’incertezza lavorativa (il sottotitolo, Le avventure semiserie di un docente precaria, rimanda proprio all’impossibilità, anche per una docente di ruolo, di trovare un proprio posto veramente stabile nella scuola di oggi); e lo fa ancora una volta col sorriso sulle labbra, scherzando su se stessa come insegnante ma prendendo sempre sul serio la professione docente.» | Il Punto

«Una rocambolesca carriera raccontata con realismo e pungente ironia.» | Valentina Capuano, “Il Roma”

«Ironico e accattivante. Aiuta a capire insegnanti, genitori e alunni.» | Anna Maria Stabile, insegnante

Il Preside ci fornì alcune pratiche istruzioni su come comportarci alla presenza degli alunni.
«Mi raccomando: non usate mai parole forti con i ragazzi. I genitori sono molto suscettibili e, il giorno dopo, potrebbero venire a scuola armati… Oh, naturalmente, non usate mai parole forti a proposito dei genitori!»
«Se due alunni sono fratelli, ma portano cognomi diversi, vi prego di non chiedere perché! Potrebbero volere spiegazioni dalla mamma… Che, il giorno dopo, verrebbe a scuola (armata). Un’ultima raccomandazione: se i ragazzi vi dicono che papà ‘sta fuori Napoli’, non insistete assolutamente: è in galera.»
I primi collegi docenti, per mia fortuna, coincidevano anche nell’altra scuola, per cui potevo disertare quest’ultima, a patto di far trasmettere via fax una giustifica ufficiale.
La Vicepreside, però, mi consigliò di presenziare almeno a un’altra riunione, cui mi sottoposi dovutamente attrezzata: mentre il Preside parlava con voce stentorea, interrotto polemicamente da docenti che, naturalmente per il bene della didattica, proponevano fantasiose soluzioni per risolvere lo spinoso problema delle supplenze scolastiche, io leggevo fino alla fine un racconto breve di Robert Louis Stevenson (l’avevo scelto perché di lunghezza adeguata ad essere letto interamente durante il collegio).
A leggere, però, non ero la sola: osservavo con simpatia una collega di mezza età, immersa ne “La Repubblica”, che la sfogliava platealmente. Mi spiegò poi che, appartenendo a un istituto carcerario ‘appoggiato’ alla scuola, anche a lei la riunione non interessava per niente.[…]
Tornai a casa con una collega appiedata ormai prossima alla pensione che, nei giorni in cui la sua auto non poteva circolare per motivi ecologici, in mancanza di passaggi scarpinava allegramente per un’ora e quaranta dal Bronx ai Quartieri Alti, nello smog, in tenuta spartana e zainetto. Per sottoporsi a ciò, pensavo fosse motivatissima.
«Non ce la faccio più! Non vedo l’ora di pensionarmi!», confessò invece. «Gli alunni d’oggi non sono più quelli di una volta! Ora, l’importante è tenerli a bada. Della didattica e della programmazione non ti devi preoccupare: puoi fargli fare quello che vuoi. Farli ballare, cantare, colorare… Non importa che tu non finisca il programma; basta che non li faccia uscire dalla classe né combinare guai, almeno non troppi. A noi è richiesto solo questo.»
In fondo, aveva ragione: l’importante era far passare la nottata.

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